Ciò che Ratzinger aveva intravisto con estrema lucidità, si è puntualmente verificato. E sarebbe oltremodo miope, di fronte ad una crisi di fede che ha raggiunto ormai proporzioni drammatiche in Europa e non solo, non rendersi conto di come oggi più che mai i carismi ecclesiali rivestono un ruolo decisivo per la sopravvivenza stessa della chiesa. Che sarà sempre più una chiesa messa ai margini ma proprio per questo destinata a ripartire, come diceva Ratzinger, “da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza”, ovvero da un “resto” che avrà la missione di essere di nuovo “lumen gentium” in un mondo che vive etsi Deus non daretur. Come ha intuito Rod Dreher rilanciando la cosiddetta “Opzione Benedetto” – non a caso negli Usa al centro del dibattito – in un mondo che si è allontanato da Dio e dove anzi sta avanzando un’antropologia radicalmente anti-cristiana, non vi è altra strada che tornare all’essenziale, cioè riscoprire e vivere in pienezza una la fede autentica, da attuarsi secondo forme di vita comunitaria. D’altra parte, che la riscoperta della fede sia (o dovrebbe essere) “la” questione per eccellenza, è oltremodo comprovato dalla troppo spesso dimenticata domanda di Gesù: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” Non una società più giusta, un mondo pacificato e solidale, l’umanità finalmente emancipata dalla sofferenza e dal dolore, un eco-sistema più salubre, ecc. Ma, appunto, la fede. E da qui che bisogna ripartire.
“Tornerà il resto, il resto di Giacobbe,
al Dio forte. Poichè anche se il tuo popolo,
o Israele, fosse come la sabbia
del mare, solo un resto ritornerà”
(Isaia 10, 21-22a)